Lo scorso 31 marzo 2017 è stato presentato, presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma La Sapienza, il testo dell’European Model Company Act (EMCA), frutto del lavoro di una commissione di ricerca (EMCA Group) – promossa dal prof. Theodor Baums (Università Goethe di Francoforte) e dal prof. Paul Krüger Andersen (Università di Aarhus, Danimarca) – composta da numerosi studiosi di diritto commerciale, di cui fanno parte professori provenienti da 22 Paesi dell’Unione Europea. I componenti italiani sono il prof. Guido Ferrarini e il prof. Paolo Giudici.
Il gruppo di ricerca (EMCA Group) è indipendente da imprese o organizzazioni economiche, dai singoli Stati membri, come pure dalla Commissione Europea; quest’ultima, tuttavia, ha espresso il proprio supporto all’iniziativa, e rappresentanti della Commissione sono stati invitati ad assistere alle riunioni come osservatori.
È stata scelta Roma, quale sede della presentazione, in considerazione della ricorrenza del sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma.
L’armonizzazione del diritto societario europeo è stata fino ad oggi perseguita con una serie di strumenti tradizionali: direttive, regolamenti, raccomandazioni, creazione di nuovi tipi societari (SE e SCE); l’EMCA rappresenta una modalità ulteriore e alternativa per la realizzazione dell’integrazione europea, sulla base dell’esperienza dell’US Model Business Corporation Act. La stessa Commissione Europea, nel c.d. Action plan on Company Law and Corporate Governance promuove l’utilizzo di “strumenti alternativi di regolamentazione”, i c.d. strumenti di “soft law”, tra i quali sono compresi i codici di corporate governance e altri codici di autodisciplina.
Il fenomeno dei c.d. “Model Acts” non è di facile qualificazione. Tali strumenti intendono, in primo luogo, fornire principi di carattere generale che possano essere condivisi da tutti i Paesi dell’UE, in ambiti quali la parità di trattamento degli azionisti, la tutela delle minoranze, la protezione dei creditori, i doveri e la responsabilità degli amministratori.
L’EMCA costituisce una disciplina generale di diritto societario, che può essere recepita dagli Stati membri, interamente o sulla base dell’adozione di singole previsioni. L’EMCA consente di superare la tradizionale contrapposizione tra “competizione tra ordinamenti” e armonizzazione: mette dunque a disposizione dei singoli Stati un diritto societario armonizzato, lasciando però ogni Stato membro libero di decidere se e in quale misura l’adozione di tale disciplina possa risultare vantaggiosa per le proprie imprese ed il proprio sistema economico.
Il principale beneficio che si intende conseguire è l’offerta di condizioni simili per azionisti e terzi in tutta l’Unione, così favorendo gli investimenti transfrontalieri, aumentando la fiducia e la stabilità del sistema complessivo.
La disciplina offerta dall’EMCA non ha carattere imperativo, in quanto non pone alcun obbligo di adeguamento o recepimento in capo agli Stati membri, ma rappresenta un “paradigma normativo” di riferimento.
Nonostante l’EMCA riproduca in gran parte la regolamentazione di cui alle direttive comunitarie già emanate, o soluzioni legislative adottate da singoli Stati, il gruppo di ricerca ha vagliato criticamente – anche avvalendosi di un’attenta analisi comparativa dei dati normativi nazionali – le soluzioni prescelte dalla vigente disciplina comunitaria, proponendo alternative (nel rispetto dei principi inderogabili) ove esse siano state ritenute inidonee o inefficienti.
I criteri guida nella redazione del testo sono:
- semplificazione della disciplina;
- flessibilità delle regole;
- riduzione dei costi di transazione e di agenzia.
Ciò implica la delicata ricerca di un equilibrio tra le diverse tecniche di disciplina adottate nei vari Paesi, tenendo conto della differenza di analiticità (e di conseguente estensione) dei testi normativi, che variano sensibilmente. Si è tenuto altresì conto dei risvolti operativi propri di ciascuna realtà, delle principali questioni interpretative emerse e delle elaborazioni giurisprudenziali.
L’EMCA ha prescelto un modello normativo unitario che si applica – con alcune distinzioni di disciplina – a tutte le società di capitali, senza distinzione di tipi (es. s.p.a./s.r.l.), comprendendo sia le società c.d. “aperte”, incluse le società quotate, sia le società c.d. “chiuse”.
Particolare attenzione è stata prestata alla scelta tra regole imperative e dispositive: in linea di principio, la tutela dei creditori e degli azionisti di minoranza è stata garantita da regole imperative (in materia di costituzione della società, capitale sociale, assemblea, tutela delle minoranze), mentre soprattutto in ambito di organizzazione della società si è preferito lasciare ampio margine all’autonomia statutaria, nell’ambito di un quadro regolatorio di carattere generale delineato nell’EMCA.
Su un piano più generale, il testo dell’European Model Company Act, quale canale privato che si affianca a quelli ufficiali, con l’obiettivo di creare prassi uniformi, suggerisce un’ulteriore notazione. Stiamo attraversando una fase storica, la postmodernità, in cui si segnala il distacco sempre più marcato tra diritto legale e diritto vivente. Una fase in cui il principio disciplinatore non pare più la ferrea e dura legalità otto/novecentesca, ma la sfuggente effettività. Le prassi uniformi, come i Model Acts o gli orientamenti elaborati dal notariato su specifiche questioni applicative, tendono sempre più ad affermarsi come diritto concretamente applicato, ponendosi nel sistema delle fonti di produzione del diritto – in sinergia con l’interpretazione/applicazione giurisprudenziale – quale sede privilegiata del “rimodellamento” del diritto societario contemporaneo.
Il fenomeno delle prassi uniformi si inquadra, del resto, in una tendenza di ben più ampio respiro. La crisi del sistema delle fonti del diritto disegnate dalla Rivoluzione francese, che ha dato luogo per oltre duecento anni al monopolio statale della produzione normativa e della giurisdizione, rivela oggi chiaramente che il fenomeno giuridico non può ridursi al sistema bipolare legge-giudice. Specialmente nel settore del diritto delle imprese, ma lo stesso avviene in altri rami del diritto civile (famiglia, successioni, diritti reali), gli operatori sono pienamente consapevoli che la struttura regolatoria tradizionale risulta inadeguata.
Proprio nel quadro del diritto europeo è agevole constatare che la crisi della legge ha aperto la strada ad una riscoperta attualità del diritto prodotto dai privati, frutto cioè della attività di interpretazione/applicazione da parte dei giuristi. Esempi in tal senso sono offerti dai principi UNIDROIT, dal progetto di Codice civile Europeo (Draft of Common Frame of Reference), dai principi europei in tema di contratti commerciali e di arbitrato. Siamo probabilmente all’avvio di un itinerario, di un processo ordinatorio che la scienza giuridica e la prassi negoziale e notarile reclamano nelle loro mani. Niente di nuovo sotto il sole: già nella prima metà del Novecento Tullio Ascarelli, con sguardo clamorosamente anticipatorio, riconosceva l’esistenza di un pluralismo di fonti di produzione del diritto tanto dilatato da comprendere non solo consuetudini e usi del commercio, giudici, notai, accademici, ma anche il semplice attore della prassi giuridica, “l’uomo d’affari”.