La Corte d’appello di Trieste ha sconfessato la tesi del Tribunale di Pordenone, secondo cui l’accordo di separazione coniugale raggiunto ad esito del procedimento di negoziazione assistita sarebbe trascrivibile senza bisogno di autentica notarile.
Il Tribunale friulano aveva fatto propria questa impostazione in un decreto del 16 marzo 2017, di cui Federnotizie aveva prontamente dato comunicazione (www.federnotizie.it/la-trascrizione-degli-accordi-non-autenticati-tra-errori-di-diritto-e-strumentalizzazioni-mediatiche).
In quella sede, avevamo messo in guardia i lettori dalle strumentalizzazioni mediatiche di quel provvedimento, che da più parti era stato presentato come una “liberalizzazione” dei trasferimenti immobiliari e come una memorabile vittoria dell’avvocatura sul notariato.
In realtà il decreto pordenonese non affermava l’equivalenza dell’autentica dell’avvocato a quella notarile ai fini della pubblicità immobiliare, ma si limitava a ritenere che l’accordo assistito di separazione fosse trascrivibile senza bisogno di autentica, in quanto equiparato ex lege a un atto dell’autorità giudiziaria. E avevamo anche spiegato come tale impostazione si fondasse su un’interpretazione speciosa dall’art. 6, comma 3, d.l. 132/2014, norma che in realtà equipara l’accordo assistito ai provvedimenti giudiziali con riguardo ai soli effetti dell’atto e non anche alla forma dello stesso ai fini della pubblicità immobiliare (regolata invece dalla norma generale di cui all’art. 5, comma 3, d.l. 132/2014, che richiede l’autentica notarile).
L’erroneità della tesi del Tribunale di Pordenone è stata riconosciuta e conclamata dalla Corte d’appello di Trieste con un’ordinanza ampia e documentata, la quale entra nel merito della questione senza mai perdere di vista la ratio sottesa al sistema della pubblicità immobiliare, consistente nell’esigenza di garantire “la corretta circolazione dei beni e dei diritti reali”. Ma l’ordinanza triestina, che merita di essere letta per esteso, va molto più in là, svolgendo un vero e proprio regolamento di confini tra il potere di autentica del notaio (a carattere generale) e quello dell’avvocato (previsto a fini specifici da puntuali disposizioni di legge).
Andiamo però con ordine. Anzitutto, la Corte ha riconosciuto nell’art. 5, comma 3, d.l. 132/2014 – che impone l’autentica notarile per tutti gli accordi assistiti soggetti a trascrizione – una norma di portata generale, come tale applicabile anche agli accordi in materia familiare ex art. 6 d.l. 132/2014. Ciò in armonia con la regola di cui all’art. 2657 cod. civ., che consente la trascrizione delle sole sentenze e degli atti pubblici o autentici.
È questa – spiega la Corte – una regola posta “a tutela degli interessi pubblicistici e della collettività poiché garantisce la corretta circolazione dei beni e dei diritti reali immobiliari”.
Essa, pertanto, non può ritenersi implicitamente derogata dall’art. 6, comma 3, d.l. 132/2014 nella parte in cui afferma che “L’accordo […] produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono […] i procedimenti di separazione personale”. Infatti, “Proprio la particolarità della materia relativa alla trascrizione, e gli interessi di natura pubblicistica sottesi alla sua disciplina, non può consentire che una previsione dettata in modo non certo specifico ed anzi di natura generica, quale la semplice equiparazione tra l’accordo di negoziazione ed i provvedimenti giudiziali che definiscono i procedimenti di separazione, possa essere interpretata come una deroga ad un principio codicistico fondamentale”.
I giudici triestini avrebbero potuto fermarsi qui. Senonché – forse proprio per porre rimedio alla fake news circolata mediaticamente sull’onda del decreto pordenonese, secondo la quale l’avvocato potrebbe autenticare contratti immobiliari tanto quanto il notaio – la Corte ha voluto ‘mettere i paletti’. E lo ha fatto chiarendo che, “se con le recenti novità in tema di giustizia telematica, gli avvocati hanno visto aumentare il loro potere di autenticare alcuni atti […], tuttavia il potere di autentica degli avvocati resta un potere speciale e non generale: al fine di autenticare gli atti, è necessario vi sia sempre una norma che conferisca tale facoltà al soggetto autenticante e le attuali norme confinano detto potere all’interno del processo (telematico) e con le limitate finalità ivi previste”.
A scanso di recriminazioni (e di ulteriori strumentalizzazioni), la Corte non ha mancato di spiegare anche la ratio di questo sistema. “La necessità di un controllo pubblico è principio essenziale e cardine del sistema della pubblicità immobiliare che non può consentire a soggetti privati, pur qualificati, ma certamente legati dal rapporto professionale alle parti che assistono e quindi privi del requisito della terzietà, di certificare con la propria sottoscrizione atti che poi devono trovare ingresso nel complesso sistema delle trascrizioni e delle intavolazioni diretto a garantire la certezza dei diritti”.
Il concetto è chiaro: esigenze di certezza dell’ordinamento civile impongono che i dati introdotti nei registri immobiliari siano certificati da un pubblico ufficiale; ma il certificatore non può essere un professionista qualunque, per quanto qualificato: dev’essere un soggetto istituzionalmente collocato al di sopra delle parti, al di sopra cioè degli interessi dei singoli attori delle vicende giuridiche destinate ad essere pubblicizzate.
Tale sistema non può essere messo in discussione mediante artifici interpretativi volti a sovvertire la realizzazione di un interesse di carattere generale. Né è messo in discussione dal regime – di matrice europea – della libera prestazione di servizî da parte degli avvocati: i giudici triestini, infatti, concludono ricordando che, “In materia di atti di costituzione e/o di trasferimento di diritti reali immobiliari, la norma nazionale che imponga l’autenticazione notarile della firma apposta dal richiedente sull’atto medesimo è […] compatibile con il diritto dell’Unione in materia di libera prestazione di servizi”.
Questo, però, non lo ha deciso la pur eminente Corte d’appello di Trieste: lo ha detto la Corte di Giustizia dell’Unione Europea in una sentenza del 9 marzo scorso (in www.federnotizie.it/unione-europea-autentica-ai-notai).
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Lungi da noi dare fiato alle trombe per annunciare una (inesistente) vittoria. Se c’è, in questa vicenda, un vincitore, questo è l’interesse pubblico all’affidabilità della pubblicità immobiliare e alla sicurezza delle transazioni. Questo interesse ha prevalso, una volta di più, sulle istanze di chi vorrebbe consentire l’ingresso nei pubblici registri di qualsivoglia atto privato, formato senza il vaglio di un’istituzione imparziale.
I registri immobiliari sono la struttura che quotidianamente garantisce a chi acquista un diritto immobiliare di “acquistare bene”, di acquistare cioè un diritto sicuro.
Questo è possibile solo grazie al presidio svolto dalle pubbliche autorità con riferimento a qualsiasi atto destinato a trovare posto nei pubblici registri. Ed è anche merito della Corte triestina se la collettività può ancora contare su questo sistema.
Scritto da Matteo Mattioni il 8 giugno 2017 @ 19:40 | Argomento: Approfondimento giuridico, Novità normative