L’ISTITUTO
L’art. 230 bis del Cod.Civ. disciplina l’impresa familiare e i diritti ed obblighi dei relativi partecipanti: l’istituto regola i rapporti che nascono in seno ad un’impresa ogni qualvolta un familiare dell’imprenditore presti la sua opera in maniera continuativa nella famiglia o nella stessa impresa stessa.
I principali vantaggi economici dell’istituto riguardano la ripartizione dei redditi tra titolare e collaboratori (art.5, comma 4, del DPR 22 dicembre 1986 n.917) e le contribuzioni nelle gestioni autonome.
UNIONI CIVILI
Con riferimento al campo di applicazione dell’impresa familiare, il soggetto unito civilmente al titolare dell’impresa familiare è assolutamente equiparato al coniuge, con tutti i diritti ed obblighi che ne conseguono, sul piano fiscale e previdenziale.
Risultano di specifico interesse, nell’ambito dell’individuazione dell’obbligo contributivo nelle gestioni autonome, il comma 13 ed il comma 20 dell’art.1 della Legge n. 76/16, secondo i quali qualsiasi disposizione normativa, regolamentare o amministrativa, oltreché tutte le disposizioni del codice civile espressamente richiamate dalla legge n. 76/16, che contengano la parola “coniuge”, devono intendersi riferite anche ad ognuna delle parti dell’Unione civile.
Nell’ambito della gestione previdenziale degli artigiani, l’art. 2, comma 2, n. 1) della legge n. 463/1959 e s.m.i., che estende l’assicurazione previdenziale per gli artigiani ai “familiari coadiuvanti”, indica “il coniuge”;
di contenuto analogo, l’art. 2 comma 1 della legge n. 613/1966 e s.m.i., che annovera tra i soggetti obbligati all’iscrizione alla gestione degli esercenti attività commerciali i “familiari coadiutori”, tra cui “il coniuge”.
La suddetta equiparazione tra il coniuge ed ognuna delle parti dell’Unione civile comporta l’estensione delle tutele previdenziali in vigore per gli esercenti attività autonoma anche ai coadiuvanti uniti al titolare da un rapporto di unione civile, registrato ai sensi di legge e comprovato da una dichiarazione sostitutiva della dichiarazione di cui all’art. 1, comma 9 della legge n. 76/2016 e all’art. 7 del DPCM n. 144/2016.
Ne deriva che, in sede di comunicazioni di eventi che il titolare è tenuto ad effettuare mediante il sistema ComUnica, introdotto dalla legge n. 40/07 ed in vigore a partire dal 1 aprile 2010, egli potrà indicare come proprio collaboratore colui al quale è unito civilmente, identificandolo, nel campo relativo al rapporto di parentela, quale coniuge.
In conclusione, con riferimento al campo di applicazione dell’istituto dell’impresa familiare, deve intendersi che il soggetto unito civilmente al titolare dell’impresa familiare sia equiparato al coniuge, con tutti i conseguenti diritti ed obblighi di natura fiscale e previdenziale.
CONVIVENZE DI FATTO
Le convivenze di fatto consistono in unioni stabili tra due persone maggiorenni, legate da vincoli affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.
La nuova normativa estende al convivente alcune tutele, espressamente indicate, riservate al coniuge o ai familiari, ad esempio in materia penitenziaria, sanitaria, abitativa, ma non introduce alcuna equiparazione di status, né estende al convivente, per quanto di interesse, gli stessi diritti/obblighi di copertura previdenziale previsti per il familiare coadiutore.
Il convivente di fatto, non avendo lo status di parente o affine entro il terzo grado rispetto al titolare d’impresa, non è contemplato dalle leggi istitutive delle gestioni autonome quale prestatore di lavoro soggetto ad obbligo assicurativo in qualità di collaboratore familiare.
Le sue prestazioni sono quindi valutabili, in base alle disposizioni vigenti ed alle elaborazioni giurisprudenziali, al fine di individuare la tipologia di attività lavorativa che si adatti al caso concreto.
Il comma 46, che aggiunge l’art. 230 ter al codice civile, attribuisce al convivente “che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente“ il diritto di “partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato”, a meno che non sussista già tra le parti un rapporto di subordinazione o di società.
Tale innovazione, peraltro, non attribuisce ai conviventi di fatto i medesimi diritti di cui godono i familiari individuati dall’art. 230 bis, poiché a tal fine il legislatore avrebbe utilizzato locuzioni idonee ad includere il convivente nella formulazione del predetto articolo e non avrebbe al contrario introdotto un nuovo articolo, che disciplina separatamente i diritti del convivente che presti attività in un’impresa familiare.
Alla luce del tenore letterale e dell’interpretazione delle disposizioni introdotte, l’eventuale attribuzione di utili d’impresa al convivente di fatto, da parte del titolare, ai sensi del nuovo articolo 230 ter, non ha alcuna conseguenza in ordine all’insorgenza dell’obbligo contributivo del convivente alle gestioni autonome, mancando i necessari requisiti soggettivi, dati dal legame di parentela o affinità rispetto al titolare.
Fonte: Circolare INPS 31 marzo 2017, n.66